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Il settore edile prima e dopo la tempesta COVID-19 (prima parte) In evidenza

di Anna Mori – La redazione ha incontrato Associazioni di Categoria e sindacati ripercorrendo con loro le tappe salienti percorse dal settore nel passaggio dal prima al dopo Covid.

L’edilizia ha subito gli effetti della pandemia, che per questo settore hanno portato per certi versi ad una crescita. Per approfondire questo aspetto, la redazione ha incontrato Cristiano Lavaggi, presidente Cassa Edile, Simone Babbini, Dirigente Sindacale UIL, Mattia Tivegna, Segretario Fillea CGIL, Davide Grazia, Filca CISL, Alberto Bacigalupi, presidente ANCE e Paolo Faconti, Direttore ANCE.

Come il COVID ha cambiato il settore dell’edilizia, quali sono le differenze tra il periodo pre, post e durante la pandemia?

CRISTIANO LAVAGGI: E’ stato un periodo complicato per tutti i settori. Il cambio nel settore edilizia dovuto al COVID è stato per fortuna solo una parentesi che ha portato le nostre aziende ad avere uno stop forzato. Dopo il COVID è iniziato un altro periodo dove le aziende hanno preso vigore e il lavoro è tornato sicuramente a pieno regime e oggi valutiamo il settore con un aumento delle aziende e dei lavoratori.

SIMONE BABBINI: Condivido quanto detto da Cristiano Lavaggi. Nell’ambito dell’edilizia il COVID ha portato ad uno stop forzato ma non ha avuto lo stesso effetto di altri settori, dove ha portato invece cambiamenti molto più radicali. C’è stata una restrizione delle attività lavorative per tutto quello che ha comportato, ma poiché molte attività si svolgono in ambienti all’aperto, laddove si poteva, era possibile anche continuare a lavorare. Quindi non è stato un elemento che ha modificato radicalmente la situazione. Post COVID c’è stato invece un rilancio dell’economia dovuto a tutta una serie di elementi, sono stati messi in campo alcuni provvedimenti che hanno consentito uno slancio dell’edilizia. Quindi anche io condivido che in un certo senso il COVID è stato un motore per il settore dell’edilizia.

MATTIA TIVEGNA: Anche io mi allineo a quanto detto in precedenza, perché il COVID ha avuto in maniera trasversale un impatto su tutto il mondo del lavoro, perché una pandemia è qualcosa di inedito che ha effetti a 360° su tutte le attività lavorative. Naturalmente l’edilizia ha subito la contrazione legata al fatto che il mondo si è di fatto fermato per un periodo. Se da un lato l’edilizia non ha potuto giovare della remotizzazione delle attività, dall’altro lato però è un settore che ha continuato a lavorare perché le attività si svolgono in ambienti esterni. Nel periodo post pandemia, il settore ha avuto e sta avendo un rilancio molto forte e quindi credo che l’analisi vada concentrata più nel periodo post pandemia.

DAVIDE GRAZIA: Il  periodo del COVID è stato difficile per le aziende per i lavoratori e per le famiglie che ruotano intorno ai lavoratori. Ma sono anche venuti fuori i valori degli imprenditori spezzini che si sono adoperati subito per tutelare i propri dipendenti e mettere a loro disposizione qualsiasi mezzo di sostegno per le famiglie. E quello che abbiamo notato, è che le aziende rassicuravano i propri dipendenti sottolineando che appena passato il periodo critico, sarebbero stati ricollocati e nessuno avrebbe perso il posto di lavoro.

ALBERTO BACIGALUPI: Il COVID ha cambiato qualcosa: dopo anni di estrema difficoltà del settore, il 2019 registrava già una tendenza di crescita. Poi c’è stato il buco nero del COVID che ha fatto sprofondare tutto e tutti e poi c’è stato il momento della reazione. Il COVID è stato in un certo senso un detonatore per il nostro settore: non dimentichiamo che a livello europeo, il PNRR viene fuori come risposta alla crisi innescata dal COVID. Quindi tutto quello che c’è stato dopo non so quanto si sarebbe concretizzato se non ci fosse stata l’emergenza pandemica. L’edilizia ad oggi è il settore che si può considerare il più attivato da questa situazione, anche a livello di investimenti. Altra risposta al COVID è stato il 110%: anche in questo caso non sappiamo valutare, nel caso non ci fosse stato il COVID, se avremmo avuto o meno un’incentivazione di questo tipo. Devo dire che sono tutte risposte che hanno avuto una cassa di risonanza in seguito al COVID. Quindi il post COVID risente di tutto questo, il 110% no perché sta terminando, ma il PNRR avrà sicuramente uno sviluppo enorme anche nei prossimi anni. Inoltre, il nostro territorio è legato anche ad altre tipologie di investimenti che stanno avendo ricadute a livello locale. Quindi il post pandemia, è uno scenario molto positivo per il settore.

PAOLO FACONTI: Sicuramente il COVID ha consolidato un aspetto che è fondamentale nel settore delle costruzioni: lo stretto rapporto tra datore di lavoro e dipendente. Il settore ha una specificità: sta avendo una forte industrializzazione dei processi di costruzione, ma il fattore umano rimane fondamentale. Come Associazione abbiamo seguito tutte le vicende legate al COVID e dobbiamo dire che c’è stata molta collaborazione in questo senso per dare una continuità al lavoro nel settore. Gli effetti sono legati a quello che è venuto dopo, alla reazione che c’è stata alla pandemia, ad un evento che nessuno aveva mai ipotizzato. Il PNRR a livello comunitario, il rimbalzo che c’è stato anche nel comparto delle opere private: tutti noi abbiamo scoperto che stare in ambienti ristretti con tutta la famiglia per due mesi, diventa difficile. E in effetti uno dei rimbalzi che abbiamo avuto nel comparto privato, è la ricerca di nuove abitazioni e interventi sulle abitazioni esistenti. Uno degli effetti che stimiamo nel post pandemia è quello di una rivalorizzazione del mercato immobiliare e conseguentemente questo ha creato opportunità di lavoro per le aziende e una maggiore attenzione di quello che vuol dire il “bene casa”. L’85% degli italiani è proprietario di prima casa, ma ora c’è più consapevolezza di quali caratteristiche debba avere un immobile, quali spazi, uno degli effetti collaterali è che anche adesso i progettisti pensano ad abitazioni diverse da quelle pre-COVID. Ad esempio il valore del balcone, e questo ha aperto una visione diversa della filiera delle costruzioni: dai progettisti, alle costruzioni, agli immobiliaristi.


Il 110% cosa ha comportato? E’ stato un beneficio per le imprese edili? Cosa ne pensate del cambio della normativa?

CRISTIANO LAVAGGI: Ha comportato un grosso cambio anche a livello delle lavorazioni edili. Il 110% viene concepito non come una norma che interessa le nuove costruzioni, ma la ristrutturazione degli immobili. E’ stato un beneficio per le imprese edili, un volano importante per tutto il settore. Poi c’è da fare una valutazione diversa: cosa ha comportato il 110%? Ha comportato il proliferare di una serie di aziende che probabilmente erano non troppo strutturate e preparate a determinati lavori mettendo in difficoltà loro stessi e il settore, ha visto l’improvvisarsi di imprenditori edili, ha visto l’entrata sul mercato di aziende che da un certo punto di vista aumentano la reddittività del settore, ma che dall’altra scompigliano il mercato edilizio. E’ stata una risposta duplice. Quanto ai cambi della normativa, perché sono cambiate molte volte e abbastanza velocemente: sono cambi importanti, vengono messi dei rimedi a quelle lacune che man mano vengono riscontrate, i Governi hanno cercato di rilanciare l’edilizia con il 110%, ma in realtà penso abbiano creato molta confusione.

SIMONE BABBINI: L’edilizia è un volano per tutta l’economia. La nostra economia è in stagnazione da 20-30 anni, non cresce. La misura del 110% ha avuto un impatto per le imprese positivo, nel senso che è stato un elemento di sviluppo per le aziende stesse e abbiamo visto un PIL del 4%, che non vedevamo da 30 anni. Se si impatta sull’edilizia, si impatta su diverse filiere: mobili, infissi, piastrelle etc., un aumento dello sviluppo del Paese. Quindi, da questo punto di vista, è una misura eccellente. Ovviamente ha dato un incremento e stabilizzazione dei posti di lavoro, ha determinato investimenti. Sicuramente è stata gestita con normative modificate continuamente mettendo non poco in difficoltà le imprese, una scarsa programmazione, perché in Italia non c’è una programmazione industriale. Quindi spesso l’imprenditore si è trovato a dover gestire a pezzi e bocconi il cambiamento delle norme, i mancati controlli, per cui da questo punto di vista si può dire che c’è stato un errore nella scrittura della norma, ma sul piano della sostanza è stato un provvedimento eccellente. Per quanto riguarda le modifiche, secondo me non doveva essere interrotta la misura, ma continuata nel tempo magari con forme diverse. Se togliamo misure di questo tipo, torneremo nella stagnazione: investire nell’edilizia, gestendo la norma in modo diverso, non fornendo il 110% ma una percentuale diversa, sostenendo il settore, questo comporta un sostegno dell’economia di un Paese e di aumento dei posti di lavoro e tutto quello che ne consegue.

MATTIA TIVEGNA: il 110% nasce con l’idea di un finanziamento legato al rinnovamento ed efficientamento di quello che è il parco edilizio del nostro Paese, che spesso è un’edilizia vecchia, energivora e poco efficientata. Ha rappresentato e rappresenta tutt’ora un volano per imprese ed occupazione, generando numeri importanti. Bene, quindi, dal punto di vista dell’occupazione. Dal punto di vista invece della proliferazione che c’è stata nell’inventarsi d’amblé di aziende edili per intercettare la cessione del credito che ha comportato abusi, distorcendo una norma che è nata con un fine positivo, questa improvvisazione ha avuto come conseguenza un aumento del rischio per i lavoratori. Se un imprenditore, infatti, si improvvisa, sicuramente non assume personale qualificato, non fa formazione e aumenta così il rischio per i lavoratori, degli infortuni, delle conseguenze di chi lavora in un cantiere e non ha avuto la dovuta formazione. Per quanto riguarda le modifiche della normativa, questo è stato negativo per diversi motivi: innanzitutto andavano cercate delle norme transitorie, non un cambio repentino che interrompe un sistema, è vero viziato e abusato, però che comunque aveva messo in moto un meccanismo. Questo ha creato una contrazione, perché di fatto molti lavori sono stati interrotti. Andava cercata un’alternativa: ora chi non ha capienza fiscale da anticipare il denaro per fare i lavori, è stato tagliato fuori di fatto, quindi tutta quella parte di quartieri meno abbienti, le periferie, dove c’è tutta quell’edilizia vecchia, energivora, vetusta, che andrebbe efficientata. Il cambio della norma ha di fatto anche questa distorsione, ovvero ha tagliato fuori chi in realtà aveva più bisogno di questi interventi. Se parliamo di transizione energetica, di un Paese che deve cambiare a fronte di un cambiamento climatico, deve passare assolutamente attraverso l’efficientamento di questa parte di edilizia che viene stimato pari all’85% dell’inquinamento atmosferico legato al riscaldamento e al consumo energetico perché si tratta di edifici con classi molto alte. Quindi questo è stato un fattore non positivo.

DAVIDE GRAZIA: il 110% è l’unico strumento che il Governo poteva inventarsi per rilanciare il settore delle costruzioni che veniva da un grande periodo di crisi. Si doveva dare una svolta al Paese, soprattutto dopo la pandemia. Tantissime imprese hanno aumentato il numero dei dipendenti, prendendo appalti importanti. Ci siamo trovati spesso a reperire il personale che le aziende tutti i giorni ci richiedevano. E’ stato un beneficio perché ha portato miglioramenti all’interno dei cantieri, con più responsabilità da parte delle aziende strutturate in termini di sicurezza. La normativa purtroppo non era chiara, era difficile da capire e da interpretare da parte delle aziende non strutturate, nate solo per il 110%, che hanno fatto fatica ad adottare queste normative.

ALBERTO BACIGALUPI: Il 110% è stata una delle due componenti importanti in risposta alla pandemia. Dal punto di vista delle imprese, ha comportato una grande esplosione di lavoro. Si sapeva che era una misura a tempo limitato: dal punto di vista del beneficio complessivo, ha comportato una crescita del PIL del Paese. Sotto il profilo del bilancio complessivo dello stato, sono conti ancora da fare: è costato parecchio e poi bisogna vedere anche dal punto di vista ambientale che cosa ha comportato. E’ evidente che un 110% non poteva reggere troppo a lungo, doveva avere una data di scadenza, ma il cambio repentino della norma ha portato l’incagliamento di crediti, e ci sono imprese che sono fallite pur avendo dei bilanci in utile perché si sono esposte con i crediti incagliati e non sono più riuscite a venirne fuori, perché non riuscivano a pagare ed erano insolventi. Il 110% ora è in fase di atterraggio, rimane ancora il 2024 per i condomini. Preso atto che il 110% è finito, cosa ci sarà in futuro? Non dimentichiamo che è stata varata una direttiva comunitaria che impone entro il 1° gennaio 2033 l’adeguamento di tutti gli edifici alle ultime tre classi in Europa, che innescherà una problematica pesantissima e lo Stato non potrà non tenere conto di un’incentivazione che dovrà essere prevista. Non dimentichiamoci che il 40% del fabbisogno energetico di un Paese, deriva dal consumo degli edifici, sia il raffrescamento che riscaldamento. Anche questo a mio avviso, avrà effetti di rilancio per il paese, magari non a livelli di quelli post COVID, che ha avuto anche effetti negativi: un’esplosione così improvvisa e rapida porta con sé anche aspetti inflattivi, di abuso. Tutta una serie di aspetti negativi, anche nel reperimento della mano d’opera.

PAOLO FACONTI: Partendo dal presupposto che il settore delle costruzioni mette in moto altri 45 settori produttivi, la scelta del Governo dell’epoca di puntare su un massiccio intervento sul patrimonio edificio esistente era giusto per diversi motivi. Il primo perché era un modo per aumentare il PIL, il secondo anche perché il nostro patrimonio edilizio è diviso in tre fasce: quello storico-medievale, i centri storici, dove è difficilissimo intervenire: quello degli anni post bellici che arriva fino agli anni ’80, che presenta una qualità del costruito quanto meno singolare, perché in quel momento storico c’era l’esigenza di dare un’abitazione a chi non ce l’aveva e quindi non c’era filosofia urbanistica e della costruzione. Poi c’è una fase successiva del costruito che è legato ad una filosofia completamente diversa: basti citare il “Giardino Verticale” a Milano. Sicuramente l’obiettivo era giusto, però purtroppo, come spesso accade in Italia, è il come si voleva realizzare che è stato forse sbagliato, probabilmente preso dall’entusiasmo il Legislatore nazionale non ha valutato bene le conseguenze e ha scritto delle norme un po' ottimistiche. Devo dire che noi in Associazione Costruttori abbiamo sempre un po' criticato la norma del 110% perché anche dal punto di vista morale era singolare: spendi 100 e io ti do 110, c’era qualcosa che non funzionava nella filosofia della norma. Queste norme poi sono state cambiate nel tempo creando una disparità all’interno del settore a livello di aziende e ha creato una confusione a livello di operatori. Ma non solamente, negli imprenditori, ma in tutta la filiera, dai professionisti agli amministratori degli immobili, è stato un esempio di come questa cosa non si fa. In futuro non deve più accadere: poche norme, scritte bene e applicabili. Il 110% ha evidenziato anche altre criticità. Secondo noi è stata anche la prova plastica del fatto che il settore delle costruzioni e soprattutto il mondo delle aziende che operano nel settore necessitano di una regolamentazione: se da un fatto è stata positiva l’esplosione di aziende, dall’altro è stata negativa, anche perché non dimentichiamoci che chi interviene sul patrimonio edilizio esistente, ha diverse responsabilità. Innanzitutto sulla qualità del prodotto e sulle aziende costituite sull’onda del 110% abbiamo dei dubbi. Secondo abbiamo anche una responsabilità oggettiva legata al fatto che queste opere rimangono nel tempo e non devono creare problemi di sicurezza. Noi Associazione di Costruttori e le parti sociali dovremmo, a livello nazionale, chiedere con forza che per aprire un’azienda edile bisogna dimostrare di avere determinate competenze, almeno organizzative. Non dobbiamo dimenticarci che per aprire ad esempio un bar, bisogna dimostrare il possesso di determinati requisiti: è proprio il contrario di quello che dovrebbe accadere in un sistema economico che dovrebbe avere poche regole, ma rispettate. L’altro effetto che sicuramente non è stato positivo è la concentrazione di lavori in un periodo ristretto, che ha comportato un’esplosione dei costi dei materiali, quindi un incremento dei costi a carico delle famiglie e una diminuzione sostanziale di offerta di mano d’opera per aziende strutturate. Molte delle aziende che aderiscono ad ANCE La Spezia, non hanno utilizzato il 110% perché non tutte vi hanno creduto, ma hanno subito l’aumento dei costi dei materiali e i problemi di reperibilità del personale. Perché non ci hanno creduto? Per la responsabilità che hanno nei confronti dei committenti. L’agenzia delle entrate ha cinque anni per poter fare le verifiche e nel caso in cui ci sia solo un errore formale, la sanzione è a carico del committente e il recupero di quanto scaricato dalle imposte più il pagamento del 100% come sanzione. Non vorremmo ad esser qui tra due o tre anni ad analizzare gli effetti negativi sulle famiglie.

 

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